Luisa Morelli scrive il suo Blog

Il testimone vulnerabile e la Carta di Noto

E’ la norma di cui all’art. 90 quater del codice di procedura penale (inserito dal D. L.vo n. 212/2015) ad introdurre per la prima volta nel nostro sistema il concetto di “condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa: essa si desume, oltre che dalla minore età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, anche dal tipo di reato e dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede.

Si tratta sempre di una condizione da accertare in concreto caso per caso.

Quanto al testimone/persona offesa vulnerabile per eccellenza, ossia il minorenne, a seguito della ratifica della Convenzione di Lanzarote del 2007 con la legge n. 172/2012,  sono state introdotte delle particolari forme di tutela per l’audizione del minore in fase di indagini: nei procedimenti relativi ad un elenco tassativo di reati caratterizzati da violenza alla persona, sia la polizia giudiziaria, sia il pubblico ministero che il difensore, laddove debbano assumere sommarie informazioni da un soggetto minorenne, devono necessariamente avvalersi di un esperto in psicologia evolutiva o psichiatria infantile, dotato anche di conoscenze specifiche di psicologia giuridica e di tecniche di intervista,

Gli studi sulla memoria infantile, infatti, hanno dimostrato che i bambini, più piccoli sono più presentano modalità relazionali rispetto alla figura adulta orientate in senso imitativo ed adesivo, sono influenzabili da tutti quegli stimoli potenzialmente suggestivi e, non avendo ancora adeguate risorse critiche e di giudizio, tendono a non differenziare i propri pensieri da quelli esposti dall’interlocutore, che finisce quindi per influenzarli e suggestionarli.  

Il compito dell’esperto alla presenza del quale il minore dev’essere sentito sin dalle primissime dichiarazioni, dunque, è anzitutto quello di indirizzare il colloquio, condotto da altri, scevro da domande suggestive, che inquinerebbero la genuinità delle risposte del minore, con l’obiettivo di attutire gli eventuali effetti traumatici che certamente possono derivare dal dover ripercorrere i fatti di reato subìti.

Il D. L.vo n. 212/2015 sopra citato richiede la presenza dell’esperto, non solo in caso di audizione del minorenne, ma ogni qual volta sia necessario sentire una persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di “particolare vulnerabilità”.

Altre cautele previste sono il fatto di evitare alla persona offesa particolarmente vulnerabile di entrare in contatto con il soggetto sottoposto alle indagini in occasione della sua audizione, oltre che di essere chiamata più volte a rispondere alle domande, reiterando il trauma del ricordo. 

Per quanto riguarda la fase del giudizio, ovvero quella dell’incidente probatorio, l’esame della persona offesa che versi in condizioni di particolare vulnerabilità – quindi non solo minorenne – potrà essere condotto, su richiesta del suo difensore, in modalità protetta, per esempio attraverso l’uso del vetro specchio unidirezionale con impianto citofonico, così da consentire la costante separazione della persona offesa da ogni fonte di stress, tenendola separata da imputato e parti processuali, e, al contempo, da permettere ai difensori e al pubblico ministero di seguire l’esame, suggerendo eventuali domande.

Secondo gli studiosi di psicologia giuridica, per garantire l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal testimone vulnerabile, è necessario procedere al suo ascolto utilizzando Protocolli di intervista elaborati a tal fine.

Per quanto riguarda in particolare l’audizione del minore, di fondamentale importanza risulta la Carta di Noto, protocollo di intervista nato nel 1996 e poi successivamente aggiornato, sulla base degli studi neuroscientifici più recenti, da ultimo nel 2017.

L’intervista raccomandata per il testimone vulnerabile dalla Carta di Noto è l’intervista cognitiva, una procedura sviluppata dalla ricerca psicologica per fornire agli operatori del procedimento penale un metodo scientifico che consenta di ottenere resoconti accurati del fatto. È caratterizzata da una strategia di recupero guidato: l’intervistatore, specializzato in tal senso, si limita ad assistere il dichiarante nel percorso di accesso alla traccia di memoria senza esercitare alcuna forma di suggestione. Si delinea attraverso diverse fasi: in un primo momento, l’intervistatore deve cercare di costruire un rapporto di fiducia con l’intervistato, ponendo domande su argomenti che esulano dai fatti di reato; in seconda battuta, viene richiesto al testimone un suo racconto libero, non guidato da domande, cercando di fargli ricostruire il più accuratamente possibile il contesto spaziale e temporale del fatto e lo stato psicologico vissuto in quel momento, con la descrizione delle sue emozioni e dei suoi pensieri; infine, laddove debbano essere rivolte domande, queste dovranno essere “determinative” (chi, che cosa, dove e quando), in cui inserire solo le informazioni fornite dall’intervistato sino a quel momento.

Le modalità protette e le interviste cognitive sono a tutti gli effetti forme di protezione “dal” processo finalizzate, le prime, ad evitare quella che è stata definita la vittimizzazione secondaria della vittima del reato e, le seconde, a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni; tuttavia, non vi è dubbio che si pongano in difficile equilibrio con il diritto di difesa dell’imputato e, in particolare, con il diritto dello stesso, costituzionalmente garantito, a confrontarsi con l’accusatore e a difendersi attraverso la formazione della prova davanti al giudice attraverso l’esame incrociato del testimone da parte della difesa: è chiaro, infatti, che le protezioni brevemente illustrate non possono che costituire un’importante deroga alle normali cadenze dell’esame incrociato, ma è anche vero che l’applicazione dei protocolli di intervista riconosciuti a livello internazionale costituisce una garanzia anche per la difesa dell’imputato che ha la possibilità di controllare, attraverso un metodo convalidato scientificamente, la genuinità delle dichiarazioni testimoniali e la logica delle argomentazioni con cui nella motivazione della sentenza il giudice ha ritenuto la testimonianza dotata di attendibilità.

Scritto da avvocato Luisa Morelli