Quando si lavora con empatia e professionalità il risultato non può che essere soddisfacente, anche nei procedimenti più delicati.
L’obiettivo principale nel nostro caso era chiaro: evitare al nostro piccolo assistito la cosiddetta “vittimizzazione secondaria”.
E, con parecchi sforzi da entrambe le parti, nonostante il poco tempo a nostra disposizione, ci siamo riusciti!
Si trattava di un procedimento in cui sono stata chiamata a difendere una giovanissima persona offesa (che non aveva ancora compiuto i dieci anni all’epoca dei fatti) dal reato di violenza sessuale.
Il procedimento si trovava ancora nella fase delle indagini preliminari, più precisamente in fase di incidente probatorio, parentesi processuale che si instaura su impulso del pubblico ministero (o anche, più raramente, della persona sottoposta alle indagini) in determinate ipotesi previste dalla legge, tra le quali anche quella di specie, al fine di procedere all’assunzione della testimonianza di persona minore o che versi, comunque, in condizione di particolare vulnerabilità in modalità protetta.
Nel caso che ci ha occupati, il bambino già era stato sentito in merito ai fatti – naturalmente in audizione protetta, ossia alla presenza di una psicoterapeuta – dalla polizia giudiziaria nelle prime fasi delle indagini e avrebbe dovuto essere risentito, a seguito della valutazione della sua idoneità a testimoniare svolta dal perito nominato dal giudice dell’incidente probatorio, in sede di incidente probatorio avanti quest’ultimo.
Per tentare di evitare la “vittimizzazione secondaria” della giovanissima vittima prezioso è stato il contributo professionale del difensore della persona sottoposta alle indagini, con il quale non è stato troppo arduo raggiungere un accordo in termini di risarcimento dei danni che, da un lato, consentisse al suo assistito di trovare a sua volta un accordo con il pubblico ministero in termini di applicazione della pena tale da prevederne una riduzione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche; dall’altro, seppure in termini necessariamente solo economici, potesse almeno in parte lenire la sofferenza causata al minore e alla sua famiglia dai fatti a suo tempo subìti.
Ma che cos’è la “vittimizzazione secondaria”?
La partecipazione della vittima di reati di violenza sessuale – come nella specie – in qualità di testimone nel procedimento penale a carico del presunto autore dei fatti, soprattutto laddove si tratti di vittima minorenne e quindi ancor più vulnerabile, può in molti casi comportare un danno anche potenzialmente maggiore rispetto all’atto di violenza subìto: il solo fatto di riportare alla memoria l’evento traumatico vissuto in passato e di rivivere così il fatto autobiografico può essere altamente stressante dal punto di vista psicologico, soprattutto per un minore.
Ecco perché, a tutela della vittima del reato in condizioni di vulnerabilità, è sempre consigliabile evitarne, laddove sia possibile, l’audizione ripetuta.
Inutile dire che tale prospettiva, nonostante le forme di tutela assicurate per la sua audizione dall’incidente probatorio, generava una buona dose di ansia sul piccolo che, insieme con la madre, si è sentito pertanto molto sollevato alla notizia che nessuno più l’avrebbe disturbato per questa brutta vicenda da lasciarsi definitivamente alle spalle.
Scritto da avvocato Luisa Morelli